1997-2025: una lunga storia. Cosa è successo prima.

La nostra Triumph Bonneville con sidecar

Quando ho compiuto 14 anni, il mio papà non ha voluto regalarmi il motorino. Hai voglia ad insistere, aveva paura che mi facessi male.

“Quando sarai maggiorenne, se vorrai ancora la moto, te la comprerai!”

Queste parole mi rimasero tanto impresse che, molti anni più tardi, quando ormai lavoravo e vivevo insieme alla mia consorte, comprai subito una motoretta. Era una Honda 125 CBX, che i miei colleghi soprannominarono ‘Schizzo’, per le sue impressionanti doti velocistiche.

Dopo qualche tempo, passai ad una Honda Transalp, rinunciando ad usare le nostre potenti e confortevoli autovetture (una Fiat 126 ed una Citroen Visa 650) per i nostri viaggi e le vacanze estive. Ormai eravamo dei motociclisti. Andai anche all’Elefantentreffen, insieme ad un mio caro amico ed ex-compagno di liceo.

Ben presto, cominciò anche la passione per il fuoristrada. Anche nei nostri giri turistici in coppia, non mancava mai qualche tratto di sterrato . La tecnica fuoristradistica però era scarsa e così, dopo avere frequentato un corso con il mitico Roberto Boano, passai a un moto più leggera, una Suzuki DR350.

Uscivo in compagnia di un mio vicino di casa, che aveva la stessa moto. Lui era più giovane e andava meglio di me. Io lo seguivo, arrancando, sui percorsi enduristici dell’Apennino Ligure.

Nel frattempo, ero riuscito a convincere mia moglie, già felice utente del leggendario ciclomotore Booster MBK, a sperimentare le gioie della guida motociclistica, prima su una 2 tempi Honda MTX 125, poi su una custom Yamaha Virago 250. Le vacanze, a breve-medio raggio, cominciammo a farle con due moto.

Le mie scorribande fuoristradistiche continuavano: un bel viaggio in Tunisia, la classica Via del Sale, la strada dell’Assietta, il colle del Sommelier, lo Chaberton ecc., un bel giro della Sardegna in fuoristrada.

Purtroppo, durante un altro tour in Sicilia, con la mia nuova Yamaha WR200 a due tempi, i timori (o i foschi presagi ) espressi un tempo da mio padre, si avverarono. Guidando per molti chilometri, ad un ritmo probabilmente superiore alle mie capacità, commisi un banale errore e la caduta fu rovinosa. Atterrai proprio su una pietra sporgente, procurandomi una frattura scomposta del femore sinistro. Intanto mia moglie, a casa, era in dolce attesa.

Un mese dopo, praticamente appena dimesso dall’ospedale, mi ritrovai accanto a lei in sala parto. Ricordo una testolina ed una faccetta imbronciata che strillava: “Perchè mi avete fatto uscire? Stavo tanto bene dov’ero!”

  • Col de La Bonette (F)

Il primo sidecar non si scorda mai

Un colpo di fulmine

Trascorsi alcuni mesi di riabilitazione, mi resi conto che la situazione era mutata rispetto agli anni passati. Il mio entusiasmo per il fuoristrada si era alquanto affievolito dopo l’incidente; inoltre, ero diventato un padre di famiglia. Decisi dunque di mettere la testa a posto:

“Vendo il WR e mi compro un bel sidecar! Così potremo andare in giro in tre!”

L’indagine di mercato fu piuttosto semplice. La scelta era limitata a due soli modelli. Nella mia città, un concessionario aveva a disposizione una MuZ Silverstar (exDDR), con motore Rotax 500 monocilindrico a 4 tempi. Andammo a vederla, ma non ci impressionò particolarmente. Così ci recammo a Cremona, dove si poteva acquistare la Ural 650, che ci piacque subito.

“Ma guarda che bella! Niente plastica, tutto ferro, bella massiccia. Non come quell’altra, che è uno scricciolo! Questa ha i cilindri sporgenti come la BMW, quella forcella strana con gli ammortizzatori attaccati a due tubi ricurvi! E ha pure la ruota di scorta sul baule, la retromarcia e l’avviamento a pedale, che fascino!”

Tina, come al solito, mi assecondava. Tanto non avrebbe mai potuto farmi cambiare idea. Ormai era scattato l’innamoramento per il mezzo russo, che evocava fantasie di lunghe cavalcate nella steppa. Sembrava una moto d’epoca e se questo poteva, per un verso, suscitare qualche dubbio, per l’altro la rendeva ancor più desiderabile.

Un breve periodo di riflessione, che la famiglia trascorse ascoltando ripetutamente una audiocassetta del coro dell’Armata Rossa, ci convinse definitivamente.

” Kalinka, Kalinka, l’acquisto si fa!”

Il primo approccio.

Un signore distinto, dai modi cordiali, scaricò la Ural dal carro attrezzi e si prese la mia piccola moto da enduro. La lasciai andare senza rimpianti: lei era rimasta intatta e indifferente, mentre io mi ero fatto male.

Quella consegna a domicilio era una bella comodità, pensai “Così il cliente non deve affrontare subito un lungo viaggio con un mezzo così particolare, che certo richiederà un periodo di apprendimento per la guida”.

Effettivamente i primi metri percorsi furono sorprendenti. Scendendo per la via, al primo tocco dei freni, sbandai a sinistra, trovandomi praticamente nalla corsia opposta, fortunatamente sgombra! Ma non era nulla di grave, bastò registrare il freno del carrozzino, serrando di qualche giro il galletto sull’asta del tamburo, per migliorare decisamente la situazione.

E così partii, dirigendomi verso la Statale 45. Era effettivamente emozionante. Lo sterzo era pesante, occorreva un certo sforzo fisico anche per frenare. Con l’ingombro del carrozzino, sul lato destro, mi sembrava di condurre un barcone. Io ero al timone (che però era un manubrio) e percorrendo le prime curve, in salita, capii subito che mi piaceva. E non me la cavavo affatto male, per essere la prima volta.

Tuttavia, percorso qualche chilometro, circa all’altezza della ridente località di Bargagli, mi resi conto che c’era qualche problema nell’innesto delle marce. Tornai quindi mestamente sui miei passi, con la seconda che, a quanto pare, era l’unico rapporto utilizzabile, in quanto gli altri non ne volevano sapere di entrare.

Il bello del sidecar è che porta ad allacciare nuove relazioni: il Sig. G.

Il Sig. G. era il capofficina dell’importatore Ural. I suoi capelli si erano imbiancati per il passare degli anni, ma anche e soprattutto per le infinite grane che gli procurava il lavoro.

Quei mezzi sovietici erano stati progettati in epoca bellica, copiando alla bell’e meglio le moto dei crucchi. Tutte le soluzioni meccaniche sofisticate erano state eliminate per risparmiare, i materiali erano scadenti e l’assemblaggio era effettuato da operai dall’elevato tasso alcolemico. Queste cose lui le sapeva bene ed aveva la coscienza tranquilla, perchè faceva quel che poteva.

Con lui non potevi arrabbiarti, perchè era la persona più gentile al mondo, prodiga di consigli, che dispensava pazientemente ai clienti al telefono: “Non entrano le marce? Ci sono due registri. Provi a svitare di un ottavo di giro quello di sopra. Quello di sotto invece lo avvita, nella stessa misura. Poi, con la moto sul cavalletto centrale, con la pedivella mette in moto e prova a vedere se le marce entrano meglio. Se ancora non vanno, ripeta più volte l’operazione, sempre un ottavo di giro alla volta mi raccomando. E stia tranquillo, tutto si risolve.” Il giorno successivo: “Ha fatto il giro completo come le ho suggerito e non ha risolto? Non c’è problema, si faccia smontare la scatola del cambio da un meccanico, me la spedisce, io la riparo e gliela rimando giù.”

Il Sig. P

Il Sig. P. era concessionario e meccanico BMW (e lo è tuttora). Quando mi presentai con la Ural presso la sua officina mi apostrofò più o meno così: “purtroppo si è comprata una rumenta di moto… non si può neanche svitare un bullone perché diventa rotondo, è di burro!”

Non me la presi, perché a Genova siamo così, non le mandiamo a dire, anche se mi era toccato staccare il carrozzino per portargli la moto sciolta, altrimenti nella sua angusta officina non sarebbe potuta entrare. Comunque, smontò la scatola del cambio ed ebbe cura di mostrarmi che nell’olio era presente abbondante limatura di ferro, fenomeno che non era indice di particolare qualità delle lavorazioni e dei materiali. Evidentemente non era abituato a vedere simili sconcezze nelle asettiche, e financo frigide, teutoniche moto che trattava.

Dopo un mese arrivò finalmente la scatola del cambio riparata; ritirando la moto gli chiesi: “Ma ora funziona?”. Mi rispose “Secondo me, no”. Tale risposta fu indicativa della sua estrema pignoleria: infatti funzionavano tutte le marce, dalla seconda in su. La prima non c’era più, ma in fondo era un dettaglio.

Il capo del Sig. G

Poiché la prima marcia, misteriosamente scomparsa, da sola non tornava, fui costretto a disturbare nuovamente il Sig. G: “Davvero non funziona? Eppure mancava solo un rasamento. Opera del solito operaio ubriaco della fabbrica di Irbit! Chiami il titolare in ufficio, che le organizza un recupero della moto al suo domicilio. Me la riportano qui e la mettiamo tutta a posto”.

Il capo del Sig. G., era un appassionato di motori, che aveva fatto della sua passione il suo mestiere. I veicoli a motore gli piacevano proprio tutti: aerei, motoscafi, auto, moto con e senza sidecar. Al telefono era più sbrigativo del capofficina, comunque accettò di onorare la garanzia, facendosi carico del trasporto.

Per farla breve, la moto fu ritirata a casa mia e tornò, riparata. Naturalmente ci volle un po’ di tempo, mi pare un mese e mezzo, ma finalmente ero in grado di provarla di nuovo. Per non saper né leggere né scrivere, non riattaccai neppure il carrozzino e cominciai a utilizzarla per il tragitto casa-ufficio. La procedura di avviamento era macchinosa: bisognava tirare l’aria, dare il cicchetto ai carburatori con le apposite levette e infine sferrare una scalciata alla pedivella, che fortunatamente offriva una modesta resistenza.

Una volta in marcia, si apprezzava la discreta coppia del motore. Pesante com’era, una volta lanciata a 60 orari, sembrava inarrestabile. Infatti lo era: non frenava un tubo e al primo semaforo, mi fermai a due centimetri dalla targa di un’altra moto.

In ufficio, tutti i colleghi ne furono entusiasti. In particolare Parolini, che di secondo lavoro faceva il carrozziere ed era un esperto di meccanica: “Ma cosa hai comprato, ha il giunto del cardano a vista, ma tu sei matto!”.

Cardano Ural

Nei giorni successivi continuai il collaudo e ben presto la moto mi lasciò per strada. Vergognandomi un poco, dovetti ricorrere nuovamente al Sig. P. che, forse impietosito, stavolta non infierì con i suoi salaci commenti, limitandosi a rimetterla in funzione sostituendo le candele imbrattate.

Imparai a portarmi dietro le candele di scorta, dovevo cambiarle spesso. Il Signor G., nuovamente interpellato, mi rassicurò: “Le candele di serie vanno bene per il clima russo, quaranta gradi sotto zero. Provi a variare il grado termico, qui ci vogliono candele più calde!”

Poi un giorno, mentre tornavo a casa, pensando di portare Tina a fare un giretto (non c’era ancora salita), la moto si bloccò bruscamente: si era rotta l’asta di reazione del freno anteriore. Il piatto del tamburo, libero di ruotare, aveva tirato il cavo e quindi le ganasce avevano frenato la ruota.

Per ripartire, dovetti provvedere ad una riparazione d’emergenza con del filo di ferro. Ma stavolta la misura era colma, avevo esaurito la pazienza.

La trattativa

Dovevo liberarmi di quella moto! Telefonai al capo del Sig. G., riferendogli l’accaduto, con una certa concitazione:”Prima il cambio rotto, poi le candele. Adesso si rompe il freno davanti: ‘sta moto è pericolosa”. Lui:”Per quello le mandiamo la modifica. E’ un richiamo: difetto di saldatura. Non è pericolosa: si è rotto il freno davanti, ma ne ha altri due (dietro e carrozzino). Infatti si è fermato”. “Certo, di botto ed in mezzo alla strada. Io ‘sta moto gliela do indietro!” replicai.

Continuammo per un po’. Provò a difendere la reputazione delle moto sovietiche, paragonandole ad altre più blasonate marche: “Guardi che si guastano anche le Honda e le BMW!”. Provò ad offrirmi in permuta una delle moto usate che aveva a disposizione, ma io volevo un sidecar. Mi offrì allora il nuovo modello 750: “E’ tutta un’altra moto”. Naturalmente risposi: “No grazie. Ural non ne voglio più.”

Visto che non riuscivamo ad accordarci oralmente, decisi di passare allo scritto. Feci appello a tutte le mie conoscenze giuridiche e meccaniche. Predisposi una lunga lettera, elencando tutti i difetti della moto, ovviamente calcando la mano. Arrivai persino a mettere in dubbio la regolarità dell’omologazione del mezzo, a mio avviso inidoneo alla circolazione, in condizioni di sicurezza, su strade aperte al traffico.

Per dare maggior peso alla richiesta di risoluzione del contratto, la feci inviare da un’associazione di consumatori, presso la quale mia moglie prestava la sua attività come volontaria. Alla associazione, trascrivendo la lunga lettera, commentarono: “Tina, ma che cacchio di moto si è comprato tuo marito?”

Miracolosamente, la mia mossa si rivelò azzeccata. Il mio interlocutore accettò di riprendere la moto e trattò direttamente con il concessionario di Genova l’acquisto della MuZ, per mio conto. Ottenne però di recuperare qualcosa, adducendo la presunta rottura del cambio della WR che gli avevo dato in permuta. Mi chiese soprattutto di riconoscere la sua onestà e correttezza professionale, implicitamente contestata nella lettera, condizione che accettai di buon grado.

L’accordo era fatto. I soldi spesi a suo tempo salvi (non completamente, ma quasi).

Riunimmo la famiglia nel garage per l’ultimo saluto alla Ural, prematuramente defunta (per noi), con soli 250 Km. all’attivo. Colonna sonora dell’evento: Pianura mia pianura

La famiglia commossa.

Post Scriptum

Le Ural sono tuttora in commercio in Italia. Oggi hanno molte parti migliorate, l’accensione elettronica e i freni a disco. Il modello 750 si è effettivamente dimostrato più affidabile, rispetto alle 650. Ho conosciuto diversi amici sidecaristi che, effettuando una regolare ed assidua manutenzione, lo hanno usato a lungo e con soddisfazione.

Nel tempo, ho constatato che anche le altre moto, a volte, si rompono. Specialmente quando ci attacchi un sidecar.

Nella botte piccola c’è il vino buono

Muz Silverstar Voyager con famiglia

Una moto mignon

Il capofficina del concessionario F……..ini di Genova, si rivolse ad uno dei suoi uomini di fiducia: “Dobbiamo fare i controlli pre-consegna di un trabiccolo… ehm, un sidecar. Secondo me, tu sei l’uomo giusto. E’ il primo che consegniamo, forse anche l’ultimo. Alle vendite non gli sembra vero che qualcuno lo abbia comprato, era lì da un anno”. Il giovanotto con la tuta rossa e i capelli ricci balbettò: “Per la parte meccanica sulla moto ok, ma dell’assetto non ne so nulla!” Con l’aria di chi non ammette repliche, il capo fece “Guarda che ci siano tutti i liquidi e provala, ma stai attento, sono bestie particolari. Quando torni, ne parliamo.”

Il malcapitato si allontanò in fretta, dirigendosi nell’angolo dove avevano parcheggiato quel veicolo strambo. Lo osservò da vicino e pensò: “Certo che è buffo sto coso. La moto è mignon, corta e bassa con due ruote piccole. Fammi un po’ vedere, davanti è da 15! E dietro? E’ una ruota da macchina, vediamo… 125/15, è quella della 2cv! Il carrozzino? Ha la ruota sottile di uno scooter a ruote alte, qui ci sono tre ruote diverse, ce n’è per tutti i gusti! Ma qui dentro si sta comodi? E’ piccoletto” Fu tentato di infilarsi nel carrozzino per provare, ma si trattenne. “Vediamo i freni, davanti disco e pinza a pistoncino singolo, si sono sprecati. Il liquido nel serbatoio va bene. Pinziamo… la sensazione è buona, il comando non è spugnoso, OK. Dietro è a tamburo, con l’astina. Ma… perché due pedali? Ah! Il secondo è il freno del sidecar. Col piede li schiacci tutti e due insieme. Che sistema raffinato… vabbè vediamo come vanno, poi li registriamo”.

Diede un’occhiata al motore e riconobbe il vecchio Rotax raffreddato ad aria: “Questo lo montavano sulle Aprilia che vendevamo dieci anni fa!” Si ricordò di quando era apprendista meccanico, in prova, in quella stessa officina: “Vibrava un po’, ma problemi non ne dava.” Collegò i poli della batteria, spinse il trabiccolo nel cortile, girò la chiave, cercò la levetta dell’aria, tirò la leva della frizione, controllando che avesse un leggero gioco. Una ditata sul pulsante dell’avviamento elettrico e il motore si accese subito. Lo lasciò girare per qualche minuto. Dopo avere spento, attese ancora e controllò il livello dell’olio con l’astina. Era giusto in corrispondenza del massimo.

Quando tornò dal giro di prova, il capofficina gli chiese: “allora come va il bolide?”.

“Eh, insomma… nelle curve a destra si alza il carrozzino di brutto. Quando acceleri tira a destra, se freni forte va a sinistra. Ma la cosa peggiore è che il manubrio sbacchetta da una parte e dall’altra quando parti, che quasi non riesci a tenerlo, manco con due mani.”

Il capofficina annuì: “Eh, ma il sidecar è bastardo di suo. Perfettamente non andrà mai. Poi questo è della Germania Est, è tutto dire. Di sopra ho la collezione completa di Motociclismo, bisogna cercare nei numeri più vecchi. Qualche articolo sui sidecar l’ho visto, e c’era anche uno schema per le regolazioni da fare con i tiranti. Ora però fai il tagliando all’Africa Twin, che stasera arriva il cliente. A questo ci pensiamo domani.”

Poi, come preso da un raptus improvviso, si abbassò piegando le gambe, afferrò il telaio del carrozzino e, rialzandosi in piedi, lo sollevò a mezz’aria. “Belin se è leggero. Lo credo che si alza, se ci vai da solo. La prossima prova, ci devi portare la tua galànte, ti fa da contrappeso!”

Campanatura e convergenza

Da Zschopau (DDR) a Genova

Mentre la consegna del nuovo sidecar si faceva attendere più del dovuto, mi documentai minuziosamente sulla storia della MZ, casa produttrice motociclistica della Repubblica Democratica Tedesca, che produsse oltre un milione di motociclette, la maggior parte vendute nei Paesi del Blocco orientale.

Erano tutte monocilindriche di piccola cilindrata, semplici ed economiche, dotate di motori a due tempi. In azienda di moto ne capivano, infatti si dedicarono anche alle competizioni, raccogliendo notevoli successi, specialmente nel fuoristrada, dove vinsero diverse volte la Sei Giorni. Anche nella velocità se la cavarono discretamente, vincendo alcuni Gran Premi.

Dopo la caduta del muro di Berlino, la maggioranza delle aziende della Germania Orientale entrarono in crisi. L’effetto della riunificazione monetaria, con l’adozione del marco della Germania Federale, fece aumentare in modo drammatico i prezzi dei prodotti dell’Est che, non più concorrenziali, cessarono in gran parte di essere richiesti dal mercato.

La MZ, fallita nel 1991, fu privatizzata e venduta a nuovi proprietari, i quali cercarono di rilanciare il marchio, ribattezzato MuZ, rivolgendosi anche al mercato estero: i vecchi modelli furono modificati con l’adozione di motori a quattro tempi, acquistati dalla austriaca Rotax. Altri furono progettati exnovo e dotati di motori Yamaha.

Apprendendo tali notizie, mi sentii relativamente rassicurato e mi dissi: “Dopotutto, meglio del precedente andrà per forza!”

Dal mio box a Recco (e ritorno)

Il meccanico dalla tuta rossa mi aveva consegnato la moto nuova, spiegandomi che aveva sperimentato parecchio con le regolazioni. Mi raccomandò attenzione a prudenza nella guida, anche perchè non era riuscito comunque ad eliminare un certo tremolio dello sterzo e la tendenza del carrozzino a sollevarsi. Curiosamente, la moto era visibilmente inclinata e pendente verso il carrozzino, mentre in teoria avrebbe dovuto essere il contrario.

Ad ogni modo, non mi fasciai troppo la testa e ci saltai sopra. Apprezzai subito l’avviamento elettrico: bastava tirare l’aria, alla prima tacca, e partiva al primo colpo. C’era anche la pedivella, ma solo per eventuali emergenze.

E’ vero, il manubrio tremava, bisognava tenerlo con due mani nei primi metri dopo la partenza. Però frenava, senza bisogno di sforzi particolari. Il motore era abbastanza vivace, il cambio era perfetto, rispetto a quello duro e rumoroso della Ural. Il carrozzino era in vetroresina, montato vicino alla moto e dalle dimensioni contenute.

Nel complesso era un mezzo molto compatto, corto e stretto, pesava circa cento chili in meno del sidecar che avevo restituito e, grazie ad un rapporto peso-potenza più favorevole, sembrava filare più di quello.

Una volta raggiunto il mio box, lo mostrai alla mia dolce metà, che lo trovò carino e mi consigliò di impratichirmi nella guida, prima di far salire a bordo i passeggeri. Nel rimirarlo per bene da vicino, mi accorsi di uno strano cilindretto, avvitato al telaio in zona canotto di sterzo, dal quale fuoriusciva uno stelo sottile, che culminava in un un anello desolatamente vuoto. “Ohibò, e questo cos’è?” Sulla piastra di sterzo inferiore notai che era presente un perno, con una boccola in gomma. Misi l’anello sopra il perno e lo spinsi con forza. Avevo capito a cosa serviva il misterioso accrocchio, era un ammortizzatore di sterzo. Scollegato com’era, non poteva certo smorzare le oscillazioni laterali della forcella, e di conseguenza del manubrio. Ridendo del meccanico, lo regolai al massimo. In realtà, era debole e non faceva un granché.

Ammortizzatore di sterzo

Per fare pratica con maggior serenità, riempii una tanica d’acqua e la misi nel carrozzino a mo’ di zavorra.

La prima gita, in solitaria, riuscì perfettamente. Risalii la Statale 45, presi la galleria delle Ferriere e da lì seguii il tortuoso percorso per Avegno, poi da Uscio mi ritrovai sulla riviera di Levante, a Recco. Imparai ad entrare in curva piano, specie dove la strada svoltava a destra, per evitare il sollevamento della gondola, ed a spostare leggermente il corpo verso l’interno per contrastare la forza centrifuga.

Tornato a casa, ero finalmente felice e soddisfatto.

– Pronto, sono Gianni della Ural… –

Con la guida del nuovo mezzo, avevo rotto il ghiaccio. Incominciammo quindi con i primi giri in famiglia. I passeggeri alloggiarono comodamente nel carrozzino, Il piccolo Michele stava in braccio alla mamma. Gli avevamo comprato il casco della misura più piccola esistente, che tuttavia gli era grande. Rimediammo con un berretto di lana come sottocasco, tanto faceva ancora freddo.

Al Passo della Scoglina (GE)

Durante una della nostre prime uscite, incrociammo un altro sidecar. Il conducente, che viaggiava da solo, ci fece cenno di fermarci per fare conoscenza. Era Gianni, appassionato di moto, ex trialista, anche lui sedotto dal fascino della Ural.

La sua era più fortunata, o forse era il proprietario che non si scoraggiava facilmente, avvezzo com’era a sporcarsi le mani con i motori. Di solito, ci telefonava il sabato, per concordare un giretto domenicale sulle strade tortuose dell’Apennino Ligure. Ci divertivamo a trotterellare su è giù per i passi, ad un ritmo vivace, ma senza mai esagerare.

Gianni era un ottimo guidatore e, se avesse voluto, avrebbe potuto facilmente seminarci. Una volta mi offrì di provare la sua Ural. Accettai volentieri, anche se non la rimpiangevo. Ritrovai quel freno davanti col cavetto, che dovevi strizzare con forza solo per rallentare la moto! Mi chiesi come facesse a guidarla con tanta disinvoltura. Solo una volta rimase indietro, vicino a Bargagli. Non vedendolo più nello specchietto, facemmo inversione e lo ritrovammo a bordo strada, chino ad osservare il bicilindrico fumante: “Acc… ho grippato. E dire che ho sostituito le fasce la scorsa settimana!”.

Ricordando il mio esordio con la Ural, pensai: “I sidecar si guastano sempre a Bargagli!”

Saluti, domande, attraversamenti pedonali

Il sidecar non è certo un mezzo con il quale passare inosservati. In genere, suscita simpatia. Gli altri utenti della strada spesso ti salutano, a volte con ampi gesti di approvazione. I bambini restano a bocca aperta. I nonni si ricordano dei tempi passati, di guerra e di pace: rimembranze dei soldati della Whermacht che occuparono il nostro territorio, oppure della pacifica Guzzi del papà o dello zio, con il carrozzino a punta per favorire l’areodinamica del mezzo.

Quando ti fermi, c’è sempre qualcuno che si avvicina per ammirare da vicino la rarità. E naturalmente ti fa qualche domanda: “Ma è una moto d’epoca?”, “E’ difficile da guidare?”, “E’ più facile ribaltarsi a destra o a sinistra?”. Se poi ti chiedono: “E se si stacca la carrozzetta?”, oppure: “Signora, se suo marito si distrae e, pensando di essere in moto, passa troppo vicino all’auto da sorpassare?” lo fanno solo per fare una battuta di spirito e ridere insieme.

I pedoni, quando ti vedono arrivare, ci pensano bene prima di attraversare, anche sulle strisce pedonali. Sarà il profondo rispetto e senso di ammirazione ad indurli a darti la precedenza, oppure temono che il mezzo non sia proprio in grado di fermarsi? Io, comunque, mi fermo ed elargisco un cenno compiacente con il capo. Solo allora si azzardano a procedere, ringraziando.

Solo il benzinaio di S. Stefano d’Aveto, quando ci presentammo in pieno inverno al suo distributore , ci espresse il suo biasimo. Dopo aver dato un’occhiata ai miei passeggeri, si rivolse a me, in qualità di capofamiglia: “Ma non lo sa che esistono le macchine?”

La marmitta brucia!

Un giorno, tornati da uno dei soliti giri, rientrammo nel garage condominiale e, il tempo di aprire la porta del box, Michele salto giù, cominciando a correre di qua e di là. Ad un certo punto, ebbe un’idea infelice e protese la mano verso la marmitta, ancora rovente. Non riuscimmo a fermarlo in tempo, si bruciò il palmo della manina, iniziando a piangere disperatamente per il dolore. Subito la pomata per le scottature, poi lo portammo di corsa al Pronto soccorso, dove gli chiesero: “Così piccolo, vai già in moto?”

Dopo un pò di tempo, grazie alle cure amorevoli della mamma, la bua guarì alla perfezione. Da allora in poi, Michele non toccò mai più le marmitte. E quando qualche curioso si avvicinava alla moto, si premurava di avvertirlo personalmente: “La marmitta brucia!”

Messa a punto, derapate e… decollo

Allineamento e convergenza

Le nostre escursioni spensierate nei dintorni, ci consentirono di saggiare ulteriormente le doti della MuZ. Emerse qualche piccolo difetto, che però si dimostrò facilmente risolvibile.

L’assetto con il quale ci era stato consegnato il mezzo non era ottimale. Infatti nelle curve a sinistra era sovrasterzante, chiudeva troppo rapidamente la traiettoria, mentre la svolta a destra era faticosa, richiedendo di agire con forza sul piccolo manubrio. Notai anche il consumo irregolare, sul lato esterno, della gomma del sidecar.

Armato di strumenti improvvisati e rudimentali, cercai di prendere le misure relative all’inclinazione della moto e alla convergenza della ruota del carrozzino. L’ipotesi era che la moto fosse inclinata dalla parte sbagliata e la convergenza, necessaria a far marciare il sidecar in rettilineo senza dover agire sul manubrio, eccessiva.

Agendo sui tiranti obliqui che vincolavano il telaio del sidecar, regolabili in lunghezza, inclinai leggermente verso l’esterno la moto. Inoltre, ridussi la convergenza, allungando di due o tre centimetri il tubo , regolabile, che collegava il telaio del sidecar a quello della moto, nella parte inferiore della culla, in corrispondenza dell’attacco anteriore. Una volta ottenuto il risultato voluto, serrai tutti i bulloni e feci un giro di prova: andava davvero meglio. Avevo azzeccato la regolazione al primo colpo, infatti non l’ho più toccata.

Come regolare inclinazione e convergenza

“Ha fatto: Stork!”

Così esclamava Michele quando la moto, occasionalmente, si spegneva mentre eravamo fermi al semaforo, con il motore al minimo.

Per indagare sulla causa di questo inconveniente, mi convinsi a dare un’occhiata al filtro dell’aria in carta, accessibile dal sottosella. Troppo grande, era stato forzato in sede deformandolo. Probabilmente mancava quello originale e ne avevano adattato uno in fretta e furia.

In ogni caso, c’erano delle fessure ed andava sostituito. Mi rivolsi al magazzino ricambi del concessionario, ove mi comunicarono con nonchalance che non era disponibile né ordinabile, in quanto l’importatore italiano aveva cessato l’attività. “Ma come, l’ho comprata due mesi fa e già non ci sono i ricambi? Andiamo bene!” feci io.

Fatto sta che, volente o nolente, dovevo arrangiarmi a trovare il filtro di un’altra moto da adattare. La soluzione era però a portata di mano. Nel mio box c’era ancora la Yamaha Virago 250, che continuavamo ad usare. Provai a smontare il filtro da quella. Era rotondo, con un’intelaiatura di plastica con reticella metallica, sopra alla quale si appoggiava la spugna imbevuta d’olio. Un ottimo sistema per trattenere la polvere dall’essere aspirata nei cilindri, dove avrebbe provocato notevoli danni.

Smontai quindi il filtro dalla Virago, e lo provai sulla MuZ: si adattava perfettamente. Mi bastò quindi ordinarne un altro alla Yamaha. Il mio nuovo sidecar era nato sotto una buona stella!

Gabbia e spugna filtro aria Yamaha XV 250 ‘Virago’

Body building: allenamento bicipiti e tricipiti

Anche se le regolazioni effettuate avevano migliorato la guida, permanevano alcuni limiti. Le oscillazioni allo sterzo erano ancora presenti, ma siccome si manifestavano solo alla partenza da fermo, mi abituai ad ignorarle. Bastava tenere entrambe le mani sul manubrio, fino a raggiugere i 30 all’ora, poi l’effetto giroscopico stabilizzava la ruota anteriore.

Per girare, lo sforzo al manubrio era robusto ed in discesa, a pieno carico con passeggeri e bagagli, diventava fastidioso. Era una questione di geometria dello sterzo, risolvibile solo sostituendo o modificando la forcella. Montare un manubrio più largo, dalla leva più favorevole, avrebbe potuto attenuare il problema; il mio entusiasmo per la guida del sidecar, però, mi faceva trascurare tali quisquilie. Continuai a fare body building nelle curve tanto che, a forza di tirare il manubrio, si sfilavano le manopole!

Il sidecar: un giocattolo per due bambini

Quando Michele diventò un pò più grande, montai un seggiolino con le cinture di sicurezza a bretella, così potevo accompagnarlo all’asilo o a fare un giretto noi due, senza la mamma.

Ricordo che una volta, rientrando da Torriglia, si stava addormentando. Per proseguire, dovetti attaccargli il casco al bauletto con il nastro americano. Appoggiata a quella sorta di poggiatesta, la sua testolina non ciondolava più. Se fai una cosa del genere al giorno d’oggi, probabilmente ti denunciano per maltrattamenti a danno di minore.

Un gioco che facevamo spesso, in un tratto rettilineo vicino a casa nostra, consisteva nello spingere il sidecar a manetta. Man mano che ci avvicinavamo ai cento all’ora e passa, aumentava il rumore e io gli gridavo: “Reggiti forte, a 110 decolla! Ci siamo quasi, ora si alza!” Sembrava quasi che ci credesse, finché immancabilmente gli dicevo: “Eh, no. Stiamo entrando nel tunnel, devo rallentare, altrimenti andiamo a sbattere nel tetto!”

Un altro divertimento era accompagnarlo all’asilo. Ci teneva a pavoneggiarsi con gli altri bambini e con le suore. Ovviamente era l’unico ad avere il privilegio di viaggiare su un mezzo tanto esclusivo. Per accrescere l’interesse degli spettatori, arrivavamo su per la salita e posteggiavamo con un’inversione a U veloce: una bella derapata, innescata dal blocco dei freni a pedale. Un giorno che la eseguii con particolare foga, sentii il mio sedere proiettato verso l’alto, mentre eseguivo la manovra, poi ci fermammo e mi sentii ricadere verso il basso. Miki, piacevolmente sorpreso, esclamò: “Papà, si è alzata la moto!” La ruota posteriore della moto si era alzata, per fortuna non tanto da provocare un ribaltamento.

Le prime vacanze in sidecar

Motociclista in erba

Michelino sbarcò in Sicilia

Finalmente venne il tempo delle ferie estive. Ovviamente volevamo farle in moto, scegliemmo la Sicilia, comodamente raggiungibile via nave. Una volta sbarcati, avremmo percorso la costa nord e quella orientale, toccando anche alcune località dell’interno.

Finalmente, venne il giorno della partenza. Con i nostri bagagli, pressati all’inverosimile nel piccolo baule del carrozzino e in un altro bauletto fissato sul portapacchi, ci presentammo all’imbarco, ove attirammo subito gli sguardi e la benevola curiosità degli altri viaggiatori.

Non ricordo per quale motivo, la nave partì con un notevole ritardo. Dopo una tranquilla traversata, con tanto di cabina riservata, arrivammo a Palermo a notte inoltrata.

Viaggiando in sidecar, riceverete gentilezze

Scesi nel garage della nave insieme agli altri conducenti, un po’ preoccupato per l’ora tarda e per l’albergo prenotato da raggiungere, poco fuori Palermo. Tina e Michele sarebbero sbarcati con i passeggeri e mi avrebbero aspettato sul molo.

Appena fu il momento, avviai il motore, innestai la prima e tac… rilasciando la frizione, si ruppe il cavo! Mentre tutti gli altri partivano, io rimasi lì, comprensibilmente demoralizzato. Uno dei marinai addetti alle operazioni di sbarco, vedendomi in difficoltà, mi venne incontro chiedendomi: “Che succede? Non parte?” “Si è rotto il cavetto della frizione, eppure la moto è nuova!” risposi io. Lui, ridendo, mentre mi aiutava a spingere, fece: “Si, nuova questa! Ma se sembra una di quelle della guerra! Ed ora, come fate? Dove siete alloggiati?”

Davanti al porto c’era un grande hotel, dove una stanza sarebbe costata cara. Fortunatamente, la gentilezza dell’equipaggio ci fu di grande aiuto. Il primo ufficiale, sapendo di quei tre poverini con la buffa moto in panne sul molo, si rivolse ai suoi uomini:”Ragazzi, spingetela di nuovo in garage e parcheggiatela laggiù, vicino alla mia macchina. E a noi:”La nave riparte domani pomeriggio. Vi faccio preparare una cabina: stanotte dormirete a bordo, insieme a noi. A farla riparare, ci pensate domani.”

Un meccanico d’eccezione: Santo

L’indomani mattina, dopo aver ringraziato ancora per la cortese ospitalità, chiedemmo indicazioni in porto per un meccanico in zona. “Andate da Santo, quello tutte le moto ripara! E’ bravo eh… specializzato in quelle da corsa, pure. E’ un pilota… minchia, in moto cose turche faceva! Sta qua vicino, di là, sempre dritto! Siete venuti a fare il giro dell’isola con il picciriddu, e bravi.”

Arrivammo all’officina dove trovammo un’ottima accoglienza. Alle pareti c’erano dei manifesti con le foto delle giovanili prodezze del titolare, grandi pieghe , salti ed anche una, che impressionò particolarmente Michele, in cui procedeva in piedi sulla sella, con le braccia allargate per tenersi in equilibrio.

Il recupero della moto fu effettuato personalmente da Santo, che partì innestando la seconda e saltandoci sopra al volo. Impavido, nonostante il traffico di Palermo, arrivò tranquillamente in sede senza l’ausilio della frizione. Dopo una rapida ricerca del ricambio, che naturalmente non era disponibile, sfilò il cavetto rotto dalla guaina e lo sostituì con uno generico, fissato con un morsetto, di cui ci garantì l’efficacia: “Riparazione semplicissima. Quando sarete a Genova, lo sostituirete con l’originale: per le vacanze regge, ci po’ calari ‘a pasta!” E così fu, infatti.

www.mancusoracing.it

Sicilia tour

Le vacanze riuscirono benissimo. Visitammo tante località, fra le quali Cefalù, Capo d’Orlando, Taormina, l’Etna, Aci trezza, Catania, Siracusa, Noto, Fontane Bianche, Enna, Castellammare del Golfo, Trapani e dintorni. Ci divertivamo con i bagni e la sabbia, apprezzavamo con gusto le specialità della cucina locale, soprattutto la colazione con granita e brioche. Michele al ristorante faceva le ordinazioni: “Per me, le farfalline al salmone!”

Ricordo che, viaggiando nell’interno dell’isola, patimmo un po’ il caldo, dal quale il nostro piccolo si difendeva mettendosi a dormire sul fondo del carrozzino. A Castellammare, noi maschietti fummo colti da una febbre estiva, che se ne andò in un paio di giorni. Al ritorno, eravamo ormai viaggiatori in sidecar, promossi sul campo.

E’ leggero!

Io sono pronto. Partiamo?

Altre avventure con la MuZ

Spett.le Redazione di Motociclismo

Frugando in un cassetto, pieno di vecchie carte, ho trovato una lettera, mai spedita, indirizzata alla rivista Motociclismo:

Vi scrivo per manifestare il mio disappunto per l’oblio in cui sembra essere caduta, a torto, la motocicletta con sidecar.

Contrariamente a quanto molti pensano, infatti, il sidecar è un veicolo altamente razionale. Coloro che, come il sottoscritto, appartengono allo sparuto gruppo di amanti di questo mitico mezzo, sono arcistufi di sentir ripetere il solito luogo comune: – Ha tutti gli svantaggi della moto e dell’auto, messi insieme. –

Ebbene, non è vero! Anzitutto il sidecar, rispetto all’automobile, comporta un minor consumo del manto stradale, nonché si rivela più economico e sbrigativo al momento di sostituire le gomme (sono tre anziché quattro).

Nella stagione estiva poi, consente di evitare il ricorso al condizionatore d’aria, in favore di una ben più salutare ventilazione naturale. Ciò vale anche per le moto, siamo d’accordo, ma provate un po’ a dormire sullo striminzito sellino di una super sportiva, magari impegnata su un percorso misto-veloce da ginocchio a terra!

Invece, nel carrozzino mio figlio dorme beatamente in braccio alla mamma (che a volte si addormenta pure lei), mentre il papà si diverte moltissimo nella guida.

I vantaggi del sidecar sono tanti che non c’è neppure lo spazio, in una breve lettera, di enumerarli tutti. Tralasciamo pure la macabra possibilità di liberarsi di persone indesiderate invitandole a fare un giro, dopo avere opportunamente allentato i tiranti che vincolano il sidecar alla moto, pratica sconsigliabile sia per i risvolti penali, sia perché sarebbe comunque un peccato ammaccare il carrozzino. Che ne dite però di poter continuare a viaggiare in moto, anche se volete portarvi dietro il contrabbasso, o la vostra damigiana preferita?

Che poi il sidecar faccia sentire liberi e felici, perché è un po’ bizzarro e stuzzica la fantasia (ma bisogna averne un po’), è cosa ovvia e risaputa. Vi allego una foto per un’eventuale gradita pubblicazione.

Cordiali saluti

P.C. -Genova

Incredibile, ci sta tutto!

Sardegna ’99

Le vacanze in sidecar continuarono. Di solito, scegliendo come meta le isole, per evitare lunghi e noiosi trasferimenti autostradali. Portavamo tutto il necessario: i bagagli, una piccola tenda per ogni evenienza, la chitarra e un piccolo amplificatore. Ed anche una piccola videocamera.

Manutenzione e piccole riparazioni

Un mezzo affidabile

La MuZ continuò a lungo a prestarci il suo onorato servizio, accontentandosi dell’ordinaria manutenzione, da effettuare ogni 6000 km (cambio olio e relativo filtro, pulizia filtro aria, controllo ed eventuale sostituzione candela, pastiglie dei freni ecc). Ogni 12000 km era prescritto il controllo delle valvole e il cambio della cinghia distribuzione in gomma. La catena della trasmissione finale era interamente ricoperta da un carter di plastica, che la proteggeva dalla sporcizia della strada e dall’acqua. Tale soluzione, che farebbe inorridire i motociclisti odierni, ne garantì in realtà una durata eccezionale, considerando che, oltretutto, veniva ingrassata ed eventualmente tirata solo in occasione dei tagliandi. Vendemmo la moto dopo 10 anni, con 50.000 km percorsi, ancora con la catena originale!

Usata spesso in tre, a pieno carico, senza particolari riguardi, la moto non ci lasciò mai a piedi (a parte una sera in cui, per una foratura, dovemmo abbandonarla e rifugiarci nel campeggio più vicino). I pochi inconvenienti meccanici che si verificarono negli anni furono banali e facilmente risolvibili: ammortizzatore del carrozzino revisionato (vedi paragrafo successivo); pipetta della candela con copertura metallica che a caldo andava a massa, sostituita; cavi che andavano al regolatore di tensione tranciati, riparati col saldatore a stagno; dischi frizione sostituiti perché iniziavano a slittare; disco freno sostituito per raggiunti limiti di usura.

Anche la reperibilità dei pezzi di ricambio non fu mai un vero problema, in quanto si poteva ricorrere al concessionario Aprilia: aveva ancora il cavetto della frizione e le guarnizioni dei coperchi punterie della vecchia Tuareg Wind con il motore Rotax, facevano perfettamente al caso nostro. Per il disco freno, ricorremmo ad un magazzino tedesco che trattava ancora parti di ricambio per le MZ.

Nel complesso, la nostra si dimostrò una moto ben funzionante ed economica da mantenere, almeno fino ad un grosso guaio che ad un certo punto sembrò decretarne la fine, come vedremo in seguito.

Due musicisti-motociclisti

Quel gran genio del mio amico (e collega)

In quegli anni lavoravo in un ufficio in cui non mancavano personaggi caratteristici (me compreso, ovviamente). Tra le figure di spicco c’era Parolini, al quale avrei voluto dedicare un romanzo di genere fantastico-umoristico (in verità l’ho iniziato, ma è rimasto incompiuto).

Parolini era un grande affabulatore, che si esprimeva in un idioma tutto suo. Con il particolare accento di Sulmona, suo luogo di nascita, pronunciava termini genovesi liberamente storpiati, ai quali affiancava spesso e volentieri espressioni tipiche del Venezuela, nel quale aveva trascorso gli anni dell’adolescenza. Difficile riassumere in poche righe le molteplici sfaccettature della sua personalità: filosofo, filantropo, uomo di mondo che godeva di grande successo presso il gentil sesso, lavoratore ed impiegato indefesso, sindacalista con grandi capacità di mediazione, allegro, estroverso, dotato di un fine intuito psicologico che gli consentiva di entrare facilmente in sintonia con chiunque. Aveva poi un’attitudine tutta particolare per riparare un po’ di tutto, eccellendo nel campo della meccanica e in particolare come carrozziere, mestiere che aveva esercitato, come secondo lavoro, per molti anni.

Certe storie che raccontava potevano sembrare un tantino esagerate, perfino a lui stesso, che infatti premetteva sempre: “Non è una balla!”.

Poteva raccontarti di aver saldato insieme due Golf incidentate, utilizzando la parte anteriore di una e quella posteriore dell’altra, ricavandone un unico veicolo, tanto perfetto da essere giudicato come mai incidentato, a seguito di ispezione presso la concessionaria Volkswagen; di essersi presentato al casinò di Sanremo con la tuta da meccanico, tutta sporca di grasso, per poi sfilarla e lasciare tutti di stucco per l’elegantissimo smoking che indossava sotto. Oppure, di aver agito in incognito come agente seduttore, assoldato da mariti che desideravano sbarazzarsi dell’ingombrante legame con le rispettive mogli, addossando loro la colpa della separazione. Nessuna resisteva al suo fascino, tutte finivano per perdere gli alimenti, negati dal giudice per manifesta infedeltà coniugale.

Non ci si annoiava mai ad ascoltarlo, ed era una persona generosa: seguiva la teoria del karma: ciò che fai agli altri, ti torna indietro. Se fai un favore o una buona azione, riceverai dell’altro bene, non necessariamente dalla stessa persona, magari da qualcun altro. Non obiettate, non fate i pignoli con la storia dei mariti e delle mogli: magari avrà fatto male alle mogli ma, con il bene fatto ai mariti, il conto andava in pari e non tornava indietro niente!

Quel gran genio del mio amico aveva veramente le mani d’oro! Ti saldava la marmitta con la saldatrice chiesta in prestito nella bottega del fabbro sulla piazza, ti raddrizzava la pedana piegata con una spranga di ferro arrugginito, trovata in mezzo ai binari, accanto al ramblè da cui si caricavano i vagoni merci. “Ma tu i lavori li fai sempre così, senza i ferri adatti?” gli chiedevo. “Certo, con gli attrezzi non c’è gusto!”

Un giorno gli portai il piccolo ammortizzatore del sidecar, un gioiellino della tecnologia cecoslovacca (premiata fabbrica Velorex), il quale aveva evidentemente ceduto, dato che la ruota del carrozzino si era avvicinata al parafango e la molla era completamente sfrenata.

La revisione fu eseguita in archivio, sul piano d’appoggio della vecchia scrivania: “Orco l’oca can! Lo stelo si è staccato dalla testa. Pericoloso!” fece Parolini. L’ olio residuo fu versato in un cestino, l’ammortizzatore completamente smontato con i suoi gommini e rondelline varie. “Ah! Non hanno ribattuto bene la vite, si è allentata e si è aperto. Ti credo che non ammortizzava più! Ora lo rimontiamo e provvediamo ad assicurarla bene. Un bel colpo di martello sul vecchio cacciavite, e via!” “Sì, ma l’olio dove lo prendi?” chiesi io. “Giù c’è quello dei muletti elevatori. Ci mettiamo quello. E’ perfetto!”

Mentre discutevamo di meccanica, si aprì la porta ed entrò il direttore, che per fortuna era un bravo cristo: “Cosa state combinando? Cos’è quella roba? Siamo in officina?” “Ma è rimasto per strada”, si giustificò Parolini: “E’ questione di un attimo…”

Dopo aver placato il direttore con le sue arti diplomatiche, si rimise al lavoro. Tutti i pezzi ritornarono al loro posto, l’olio nuovo fu versato nel corpo dell’ammortizzatore, la vite fu ribattuta. Per rimontare la molla, fece leva con il solito pezzo di ferro raccattato in un angolo: “Fatto. Vedrai che non si smonta più.”

Ed effettivamente non ha più dato problemi, ve lo assicuro: non è una balla!

Morte e resurrezione della MuZ

Eppure Miki lo aveva detto

Un’altra estate era arrivata e ci preparavamo all’ennesima vacanza (in Corsica). Stavolta dovevamo partire in quattro, infatti la compagnia si allargava con Gianluca, un amico di Michele. Avremmo quindi utilizzato due mezzi: il sidecar e lo scooter di Tina.

Tutto sembrava in ordine, anche se Michele, dotato di occhio attento oltreché di orecchio finissimo, mi aveva fatto notare: “Papà, la ruota è storta.” In effetti, la parte superiore della ruota posteriore era inclinata verso l’esterno in modo piuttosto evidente. Certo, a suo tempo avevo inclinato la moto di un paio di gradi, per ottenere un assetto ottimale, ma qualcosa era cambiato e la campanatura della ruota era aumentata.

Avrei dovuto indagare la causa di tale fenomeno, al quale invece non diedi il giusto peso: “E’ vero, è un un po’ storta, ma non fa nulla.” Allora ero probabilmente un po’ incosciente, oggi invece tendo piuttosto ad essere paranoico (sarà l’età).

Purtroppo, quasi alla vigilia della partenza, dovetti constatare che non si trattava affatto di un problema trascurabile. Mentre transitavo, fortunatamente a bassa velocità, in una via del popoloso quartiere di Marassi, avvertii uno strano sbandamento, seguito dal repentino blocco della moto. Si era rotta una delle asole nelle quali era alloggiato il perno della ruota. L’ altro braccio del forcellone, trovandosi improvvisamente a reggere tutto il peso del veicolo e della mia persona, si era piegato, portando la ruota posteriore a contatto con il parafango. Un vero disastro!

Il forcellone rotto.

Riuscii a staccare il carrozzino e, con l’aiuto di un’officina che si trovava nelle vicinanze, a riportarlo nel mio box. In attesa di trovare una soluzione, dovetti abbandonare la moto, ferita gravemente, nella via. Partimmo per le vacanze in automobile, non rinunciando però a portarci dietro anche la mia piccola moto da fuoristrada (Honda CRF230).

HM CRF230

Abbandonata, a rischio rottamazione, dopo tre mesi risorse.

Il forcellone era introvabile e d’altra parte, ripararlo sembrava un’impresa impossibile. Cominciai a pensare ad un nuovo sidecar ed andai anche a vederne qualcuno da un installatore (vedi capitolo successivo).

La moto rimase in stato di abbandono per qualche mese, finché decisi di farla vedere al mio amico e collega Parolini, il quale decretò che l’intervento era fattibile: “Ma sì, lo saldiamo e lo raddrizziamo!” Sorpreso, ribattei: “ma se poi si rompe e qualcuno si fa male, mi rimane sulla coscienza!” (tanto mi fidavo della riparazione che, comunque, avevo già deciso vigliaccamente di vendere la moto).

Fatto sta che il forcellone fu smontato e, dopo una breve attesa, tornò riparato. Una volta rimontato, non mi sembrò perfettamente diritto come quando era nuovo. Tuttavia, il sidecar per sua natura non è un veicolo perfetto: richiede un certo spirito di adattamento nell’utilizzatore.

Forse fui, ancora una volta, incosciente a vendere la moto, peraltro ad un modico prezzo. Volli fidarmi delle rassicurazioni di Parolini: la riparazione avrebbe retto.

Il nuovo proprietario era un motociclista esperto, di provata fede Guzzista. Ogni anno si recava in pellegrinaggio all’Elefantentreffen, celebre raduno che si svolge in Germania, in genere nei primi giorni di febbraio, quindi in condizioni atmosferiche proibitive. “Sono stufo di cadere per la neve. Voglio un sidecar!” mi aveva detto. Rimanemmo in contatto negli anni successivi: era soddisfatto della moto e mi mandò delle foto che documentavano i suoi cimenti invernali, oltre agli accessori che aveva montato. Mentre io avevo sempre cercato di evitare lunghi trasferimenti autostradali, lui se ne sciroppava parecchi, in compagnia degli amici di un Motoclub del varesotto.

In occasione della sua ultima telefonata, però, cominciai a sudare freddo: “Ho avuto un incidente con la moto, non so se potrò ripararla.”

No, non si era rotto il forcellone come, per un attimo, mi balenò in mente: “Un automobilista si è addormentato e mi ha travolto, mentre viaggiavo in autostrada. Sono stato sbalzato dalla moto, però mi è andata bene: solo qualche contusione. Il carrozzino però si è staccato ed è andato da una parte, la moto dall’altra. L’assicurazione mi vuol risarcire il valore del mezzo, ma non è in grado di stimarlo.”

Non credo sia riuscito a riparare la MuZ: sarebbe stato antieconomico, se non proprio impossibile. A quest’ora la Silverstar 500 Voyager, con carrozzino Velorex, riposa in pace nel Paradiso delle moto leggendarie e ormai introvabili. Anche se è una stella ignota ai più, per noi resta indimenticabile.

Foto di addio alla MuZ

Nuovo proprietario, nuove imprese

Non c’è due senza tre: l’era della Dragstar

Sidecardipendenza

Mentre la MuZ giaceva per strada in condizione di abbandono (vedi capitolo precedente), cominciai a pensare di sostituirla. Naturalmente era ben lungi da me l’intenzione di rinunciare alla terza ruota, in favore di un veicolo più convenzionale.

Il sidecar, infatti, dà luogo ad un particolare tipo di dipendenza per la quale, essendo piuttosto rara e quindi poco conosciuta, non ci sono centri di recupero o terapie di sperimentata efficacia. Talvolta la sindrome si manifesta in maniera leggera, direi subdola: in questi casi l’interessato resta socialmente integrato e continua a svolgere le sue abituali occupazioni. Tuttavia è colto da malcelata agitazione se, per qualsiasi motivo, è impossibilitato ad usare la moto nel weekend. Inoltre pretende che la famiglia si presenti in sidecar in qualunque occasione, si tratti di un aperitivo, una cena, una comunione o una vacanza. Se assecondato, manifesta la sua soddisfazione restando di buon umore e pertanto viene considerato, nella sua cerchia di conoscenze, come un tipo eccentrico ma, tutto sommato, simpatico.

Nel caso che i familiari invece tendano ad accampare scuse per utilizzare altri veicoli, meno pittoreschi, ma certamente più comodi, possono manifestarsi difficoltà relazionali. Se il soggetto gode di una buona autostima e di un carattere forte, potrà comunque trovare una soluzione adottando strategie di compensazione, che potranno eventualmente essere suggerita dai suoi congiunti: “Caro, domenica devo proprio fare le pulizie di Pasqua, non posso accompagnarti nel giro dei passi, potresti portare il cane, gli piace tanto!”, oppure: “Papà, verrei volentieri a fare un giro con te, ma devo andare a studiare da una compagna di scuola, lunedì ci interrogano. Sarà per un’altra volta.”

Il sidecardipendente potrà facilmente fare amicizia con altri adepti del bizzarro veicolo asimmetrico a tre ruote, per uscite e raduni in allegra compagnia. Certamente ne ricaverà un momentaneo sollievo. Potrebbe però insorgere un nuovo, preoccupante, sintomo: la mania della personalizzazione. Nei casi più blandi, si installano accessori di utilità assai dubbia: fanali supplementari, trombe tritonali, taniche ecc. Se la malattia è più severa, invece, si intraprendono costose modifiche strutturali del veicolo, come l’adozione di forcelle speciali, impianti frenanti potenziati, cerchi e ruote automobilistiche, coppie coniche con rapporto accorciato e perfino elaborazioni del motore. Alcuni poi, smaniano per aggiungere un gancio di traino con relativo carrello tenda o miniroulotte.

Zeus, sidecar moderno

Si segnalano infine casi di acquisti compulsivi e multipli, con garage che si riempiono di due o più sidecar, che vanno ad aggiungersi alle svariate moto, contemporanee e d’epoca, già in possesso del malcapitato.

All’epoca, non ero pienamente cosciente di tali rischi: decisi infatti di fare un breve viaggetto in una località del nord Italia, insieme a Michele, per visitare l’atelier della ditta Bertoldo e Bertoldino: sidecar chiavi in mano.

Prova galeotta

Il giovane Bertoldino ci accolse cordialmente, anche se era indaffarato con alcune riparazioni da fare. Notammo una Kawasaki, con un bel carrozzino Watsonian (celeberrima marca inglese dalla lunga tradizione), adagiata a terra con la ruota posteriore che aveva tutti i raggi rotti o piegati. Lo interrogammo in proposito e ci rispose laconicamente: “Ha preso una buca.” Dopo aver fatto conoscenza, appresa la nostra esperienza di sidecaristi, ci illustrò la sua attività ed i modelli di moto a cui più spesso adattava il carrozzino. Tra quelli che andavano per la maggiore, la Kawasaki W650 e la Yamaha XV650 Dragstar.

Quest’ultima era un modello custom, stile Harley Davidson: bassa, lunga con due ruote con enormi pneumatici, parafanghi dalle forme giunoniche, nera con scintillanti cromature (in realtà in gran parte finte). Grossa e pesante, con una gondola modello wehrmacht, faceva una gran scena anche se il motore non era di grossa cilindrata ed aveva una modesta potenza.

Bertoldino ne aveva una di un cliente e ci offrì di provarla: un giro attorno all’isolato e fummo conquistati. Il motore, bicilindrico a V, aveva un buon tiro ai bassi regimi. Il sidecar, in lamiera, era più spazioso di quello della MuZ, con un ampio baule per i bagagli, con tanto di comodo sportello. Era larga e con il baricentro basso, per cui appariva decisamente stabile. Aveva un manubrio molto ampio e una posizione di guida all’americana, con le gambe distese in avanti e i piedi appoggiati su due enormi pedane. Roba da fighi. Ci sembrava proprio di fare un salto di classe, con quella motona! Tornammo entusiasti, anche se notammo che la frizione era rumorosa e la partenza tutt’altro che fulminea. Bertoldino, in effetti, ci riferì che la Kawasaki era più potente ed andava un po’ meglio. Per quanto riguarda la frizione, ammise che non era robustissima “Dura pochino…ma i dischi sono economici”. Il sidecar però si sceglie con il cuore, non con la testa, ed in cuor nostro avevamo già deciso.

La moto della prova

Una giapponese dalla Germania – Croazia 1

Complicazioni burocratiche

Dopo aver visionato la Yamaha Dragstar, non ci volle molto a trovare qualcuno interessato ad acquistare la MuZ, che cedemmo ad un prezzo molto abbordabile. In fondo, ci aveva servito egregiamente per quasi un decennio ed eravamo pronti a passare ad un nuovo mezzo, con migliori prestazioni e maggiore comodità.

Dall’ordine alla consegna, tuttavia, dovemmo aspettare alcuni mesi. Non stavamo, infatti, acquistando una moto che usciva dalla fabbrica con il sidecar attaccato, come avevamo fatto nel caso della Ural e della MuZ.

Stavolta, si trattava di una normalissima moto che subiva una importante trasformazione con l’applicazione del carrozzino, e pertanto doveva essere collaudata e omologata come esemplare unico.

Nel nostro paese, la riuscita di un’operazione del genere è alquanto difficile. Si può però aggirare l’ostacolo, ricorrendo ad uno stratagemma legale: secondo i regolamenti europei, gli Stati membri dell’UE sono tenuti a recepire le omologazioni effettuate all’interno dell’Unione.

Si acquista allora una moto usata in Germania, alla quale si attacca il carrozzino. La motorizzazione tedesca, attestando che l’installazione è stata eseguita in conformità alle regole locali, produce i documenti. Trascorso un po’ di tempo, si può importare il veicolo in Italia, ove viene reimmatricolato come motociclo con carrozzino laterale staccabile, secondo la dicitura riportata sul libretto di circolazione.

Non appena fummo avvisati da Bertoldino che un esemplare seminuovo della Dragstar era disponibile per l’acquisto nella terra di Kant, confermammo il nostro ordine. L’installazione del carrozzino doveva comprendere l’aggiunta di un freno dedicato, che Bertoldino promise di realizzare come optional, visto che le sue trasformazioni di norma non lo prevedevano.

Come inizio, non c’è male

Era già estate quando finalmente, venne il giorno della consegna, ormai urgente dato che le ferie erano imminenti. Io e Tina partimmo in treno, di buon mattino, emozionati per il nuovo acquisto.

Quando si ritira una combinazione moto-sidecar, c’è sempre un minimo di incertezza. L’installatore effettua delle scelte tecniche ed estetiche legate al suo gusto e alla sua esperienza, pur seguendo le indicazioni di massima concordate con il cliente. Potrà montare il carrozzino più o meno avanzato, accostato il più vicino possibile alla moto oppure, al contario, più distanziato, per una carreggiata più ampia. Le soluzioni adottate influiranno sulla maneggevolezza e sulla stabilità del mezzo, oltre che sull’aspetto estetico. Al momento della consegna, mostrerà i risultati del suo lavoro al committente, sperando di sorprenderlo piacevolmente.

In effetti, nel nostro caso, non mancò un certo stupore. Per accogliere la nostra richiesta del freno sulla terza ruota, Bertoldino aveva utilizzato un telaio Ural, abbastanza alto da terra, che contrastava con la moto, che era invece molto bassa. Nel collegamento tra moto e carrozzino, spiccavano dei particolari raccordi, che ricordavano quelli che si vedono nei ponteggi usati per l’edilizia: a croce, con quattro perni lunghi e sporgenti, rivolti verso l’asfalto. Senonché, il freno del sidecar non lo aveva realizzato: “Per ora non ho fatto in tempo, d’altronde dovete partire, lo facciamo quando tornate, tanto la moto frena bene”. Il mezzo era largo come un’automobile, una bella differenza con la MuZ, che era stretta e compatta.

Eravamo comunque contenti, specie ammirando la moto, che era veramente perfetta e praticamente nuova. Prima di partire, chiedemmo: “Ma benzina ce n’è?” “Come no, ce ne saranno dieci litri!” risposero Bertoldo e Bertoldino.

Imboccammo quindi fiduciosi l’autostrada, spingendo quella specie di incrociatore (tale ci sembrava) attorno ai cento all’ora. Dopo poco il motore cominciò a singhiozzare: cercai il rubinetto della benzina e dovetti constatare che era già sulla riserva. Ci fermammo su una provvidenziale piazzuola di sosta.

L’addetto al soccorso stradale, mentre riforniva il serbatoio da una tanica, ci canzonò: “E’ proprio bello questo sidecar, ma senza benzina non va!” Non potemmo esimerci dal pensare “Certo che, come inizio, non c’è male.” (Ad onor del vero, presentammo la fattura a Bertoldo e Bertoldino, che ammisero l’errore e ci rimborsarono).

In Croazia con la moto nuova

Pochi giorni dopo, partimmo con armi e bagagli per la Croazia, più precisamente per la penisola d’Istria. Un viaggio che richiedeva un trasferimento autostradale relativamente lungo, che decidemmo di dividere in due giornate facendo una tappa intermedia a Padova.

La scelta si rivelò azzeccata: la posizione all’americana della nuova moto, con le gambe larghe e distese in avanti, le braccia allargate a tenere l’ampio manubrio, era per me inusuale e piuttosto stancante. Apprezzammo comunque la possibilità di tenere una velocità di crociera di circa 110 (di tachimetro), senza eccessivo sforzo del motore.

Naturalmente, non passammo inosservati: gli occupanti delle auto che ci superavano spesso si voltavano a guardarci e ci salutavano. Nelle aree di servizio poi, avendo già alle spalle una notevole esperienza di sidecar, rilasciavamo con nonchalance brevi interviste ai numerosi ammiratori.

La vacanza fu divertente e rilassante (almeno fino al giorno del ritorno, vedi paragrafo successivo). Oltre ai bagni nelle acque cristalline delle varie spiaggie del Parco di Kamenjak, potemmo godere di splendidi panorami e fare visita a paesi e cittadine molto gradevoli, tra cui Parenzo, Rovigno, Pola.

A Dignano, che ha un bel centro storico con un lastricato a tratti sconnesso, urtammo il terreno con il telaio del sidecar, in corrispondenza di uno di quegli strani raccordi, con i perni sporgenti rivolti verso il basso, che naturalmente si ruppe, danneggiando l’opera di Bertoldino, ed arrecandoci una certa preoccupazione.

Per fortuna, rimediammo subito: ci indicarono l’officina di un efficientissimo saldatore, che riparò seduta stante il danno e girò i perni in modo che fossero più distanti dal terreno. Scampato il pericolo, potemmo continuare tranquillamente il nostro giro turistico.

Purtroppo, le mie modeste doti letterarie non sono sufficienti a descrivere la bellezza dei luoghi e l’allegra atmosfera della vacanza. Sono più a mio agio a parlare di cavetti della frizione o di cuscinetti a sfere. Vi propongo allora di dare un’occhiata al nostro video che, sia pur girato con i mezzi amatoriali dell’epoca, potrebbe dare l’idea.

Raggi malandrini

Se la vacanza era andata bene, non potè dirsi altrettanto del viaggio di ritorno. Infatti, attraversato il confine con la Slovenia e ritornati in Italia, si verificò un imprevisto.

Ci fermammo in un area di servizio sull’autostrada per fare una sosta e mangiare qualcosa. Mentre parcheggiavo la moto, sentii rompersi un raggio della ruota posteriore. Guardando meglio, mi resi conto che ce n’erano degli altri rotti, mentre quelli ancora interi si erano completamente allentati. In poche parole, ci eravamo fermati appena in tempo.

A dire il vero, il giorno prima , mentre viaggiavamo su una strada secondaria, avevamo sentito una specie di botto. Controllata sommariamente la moto, senza trovare nulla di anomalo, concludemmo: “Forse siamo passati sopra una bottiglia di plastica che ha prodotto il rumore”.

Le ruote a raggi sono generalmente robuste, anche se vanno controllate periodicamente. La rottura di un raggio, di per sé, non comporta il cedimento dell’intera struttura; non va però trascurata, in quanto può innescare una sorta di reazione a catena. Nel caso si attacchi un sidecar alla moto, il rischio di rottura dei raggi aumenta, in quanto la ruota subisce delle forti spinte laterali, per le quali non è progettata.

Fummo quindi costretti a chiamare il soccorso stradale. Nell’attesa non mancarono, naturalmente, gli ammiratori che scattavano fotografie e chiedevano informazioni. Qualcuno di loro forse ci consolò, mentre il nostro sidecar veniva caricato sul carro attrezzi. Ci toccò pure chiamare un taxi: in cabina con il conducente del camion non potevamo salire. La località più vicina era Latisana, provincia di Udine. Non abbiamo avuto modo di visitarla, ma ne conserviamo un perenne ricordo.

Cercando di prenderla sportivamente, tornammo quindi a casa in treno, con una piccola parte del bagaglio. Il resto lo recuperammo in seguito, insieme alla moto, che fu riparata dal locale concessionario Yamaha.